Il canile visto con gli occhi del cane

[:it]Di Alessandro Fazzi e Mirko Zuccari

 

Al fine di affrontare al meglio un percorso di recupero comportamentale, occorre capire cosa rappresenta per il cane il canile e il periodo che vi trascorre, tanto nei box, quanto nella aree di sgambamento, nonché nei rapporti con altri cani (intra-specifici) e con gli esseri umani (inter-specifici).

 

Il canile visto dal cane: un contesto conflittuale

Il cane percepisce il canile come un contesto conflittuale, a causa di numerosi elementi e attività fonti di possibile stress, come la presenza degli esseri umani (che sia un operatore, un volontario o un educatore, percepiti come estranei, soprattutto in una fase iniziale), quella di altri cani, anche essi spesso sprovvisti di equilibrio o serenità, o persino a causa di attività come il gioco o le uscite in passeggiata, laddove le stesse non siano adeguatamente progettate e realizzate. Nel presente articolo si cercherà di mostrare come il cane vive e percepisce la propria permanenza all’interno del canile e come capire il suo punto di vista può essere utile per aiutarlo, anche nell’ottica di una corretta preparazione all’adozione.

 

Il box: stabilità o abitudine?

Il box dovrebbe rappresentare la “casa” o, meglio, “la tana”: se è vero che esso diverrà, forzosamente, un luogo di maggiore sicurezza, allo stesso tempo non potrà offrire la possibilità di reale rilassamento o di godimento di un ambiente percepito come “proprio” dal cane. Infatti, la possibilità di ingresso nel box da parte di esseri umani (operatori, educatori e volontari) lo rende un luogo di potenziale stress. Inoltre, esso non permette il rispetto delle caratteristiche etologiche del cane rispetto alla necessità di vivere in branco, ovvero in famiglia. In altre parole, un soggetto altamente sociale come il cane si trova, da solo, all’interno di un box, soffrendo, dunque, per la mancanza di riferimenti. Per questo, difficilmente arriverà a considerare il box quale vera e propria tana, non riconoscendolo quale luogo effettivamente sicuro, proprio per la mancanza di condivisione con altri membri del proprio branco, primaria fonte di stabilità. Senza dubbio, il cane si trova maggiormente a proprio agio nel box rispetto ad altri luoghi del canile; tuttavia, tale preferenze deriva, principalmente, dall’abitudine a quell’ambiente, più che da un reale senso di stabilità. I vari elementi appena esaminati determinano una situazione complessiva di stress nel cane, aggravata dalla contigua presenza di altri animali, i quali, a loro volta, non trasmettono messaggi rilassanti o pacifici (ad esempio, abbaiano o iniziano ad agitarsi in presenza di umani).

 

Le aree di sgambamento

Anche le cosiddette aree di sgambamento, nelle quali il cane è lasciato libero di muoversi o condotto in passeggiata, possono costituire un elemento di conflittualità nella vita dell’animale. Tale valutazione vale sia per l’area antistante al box, sia per le aree funzionalmente adibite al movimento e al gioco del cane, in compagnia di educatori o volontari. 

Per quanto riguarda le aree antistanti al box, la conflittualità deriva dall’assenza di un vero e proprio divisorio rispetto al box: il cane, quindi, uscito dalla cosiddetta ghigliottina, passa spesso i primi momenti ad abbaiare ai cani che gli si trovano attorno, in box o aree di sgambamento limitrofe, nonché marcando l’area, così da eliminare gli odori altrui. Fino a questo momento, quindi, il cane non ha ancora vissuto un singolo momento dell’uscita come positivo. Nel caso in cui non vi sia alcuna interazione con l’animale durante la sua uscita, l’unica attività percepita in modo veramente positivo sarà la possibilità di scavare buche, ma risulteranno assenti altre occasioni di scarico. In pratica, il cane finisce per sperimentare solamente esperienze stressanti, anche se in un’area più grande rispetto a quella del box. Invece, nel caso in cui il cane venga coinvolto in attività differenziate, adatte alle sue caratteristiche etologiche e comportamentali, l’area di sgambamento adiacente al box diverrà un luogo di esperienze positive per il cane. Per questo, è necessario intervenire per aumentare la qualità dell’uscita.

La situazione nelle aree di sgambamento “esterne” ai box risulta offrire una differente prospettiva per il cane, che spesso vi è condotto al guinzaglio. Anche in questo caso sussistono elementi di conflittualità, tanto che il cane passerà, probabilmente, i primi momenti di uscita a marcare il territorio. Infatti, non avendo la possibilità di confrontarsi direttamente con gli altri cani, anche in questo caso tenterà di eliminare i loro odori. Tuttavia, superata questa necessità, sarà possibile lavorare assieme al cane, cercando di costruire un rapporto stabile di fiducia, partendo da quanto si è stati in grado di realizzare nelle uscite precedenti. Sotto questo punto di vista, fondamentali risultano le interazioni con l’animale senza guinzaglio e il gioco. Tali attività non devono configurarsi esclusivamente come di natura fisica, ma è necessario interagire con il cane sotto l’aspetto psicologico, nel pieno rispetto delle sue caratteristiche etologiche, in modo tale da appagarlo e riempire quella sorta di “vuoto relazionale” che vive nel box, dove gli stimoli positivi sono assenti o rari. In questo contesto, il gioco – che per il cane rappresenta un’attività estremamente intima – deve essere vissuto nel modo più stimolante e soddisfacente, risultando utile sia per scaricare le emozioni negative, sia per costruire un rapporto più saldo tra umano e animale. Se quest’ultimo, infatti, vivrà in modo positivo l’uscita, allora sarà in grado di vivere in modo positivo, o almeno maggiormente positivo, anche i momenti precedenti all’uscita. 

Risulta inevitabile che, una volta terminata l’esperienza positiva nell’area di sgambamento, il benessere del cane tenderà ad abbassarsi: di nuovo nel box, dove le principali attività sono costituite dall’attesa per il cibo o l’abbaio. Per arginare tale situazione, oltre a garantire uscite regolari, frequenti e di qualità, sarà utile cercare di coinvolgere il cane in attività anche minimamente appaganti anche all’interno del box: l’esempio classico è costituito dagli snack o dai giochi da masticare, soprattutto quelli abbastanza resistenti da durare almeno qualche ora, in grado di offrire al cane (o almeno ad alcuni cani), una forma di sollievo dalla noia, almeno temporanea. Inoltre, è possibile valutare l’opportunità che l’educatore o il volontario svolgano attività con il cane anche all’interno del box – attività che devono però sempre essere intese come complementari e non sostitutive delle uscite. 

 

Altri possibili momenti di stress per il cane in canile: le visite veterinarie e l’adozione

Un altro potenziale momento di stress per il cane di canile sono gli esami e le visite veterinarie: la principale differenza rispetto a un cane che vive a casa è che, in canile, l’animale non possiede un punto di riferimento così forte come i membri della propria famiglia, a meno che un educatore o un volontario non sia già riuscito a costruire il necessario rapporto.

Inoltre, anche l’adozione può essere vissuta dal cane come un momento stressante: si tratta, comunque, di un distacco da quella che ha imparato a conoscere come la propria “casa”. Per questo, occorre sempre considerare che una volta persi i riferimenti ambientali del canile, il cane si troverà in una situazione emotiva complessa e potrà rendersi necessario accompagnarlo in un percorso di adattamento. Ad esempio, sarà utile abituarlo all’auto, così da non aggiungere allo stress che già sperimenta per l’adozione, anche quello dell’utilizzo di un mezzo di trasporto che non conosce o che lo spaventa. Inoltre, nei casi più delicati, risulterà necessario un percorso assieme all’adottante: quest’ultimo potrebbe, ad esempio, recarsi in canile, passare del tempo con il cane, così da iniziare a dargli dei riferimenti e a costruire un rapporto di fiducia.

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