IL RECUPERO COMPORTAMENTALE DEL CANE IN CANILE – INTRODUZIONE

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I percorsi di recupero comportamentale per cani ospitati presso strutture rifugio presenta peculiari caratteristiche, le quali devono essere debitamente tenute in conto al fine di fornire all’animale il corretto percorso di recupero, con l’obiettivo di fornirgli la stabilità emotiva necessaria a garantire il pieno rispetto del suo diritto all’adozione.

 

Le peculiarità del recupero comportamentale in canile

Presso i canili rifugio sono presenti due principali tipologie di cani: animali che derivano da rinunce di proprietà e animali randagi (abbandonati, anche “inselvatichiti”, o nati liberi sul territorio). Per quanto concerne le rinunce di proprietà, le stesse sono di solito causate da problemi comportamentali, per i quali si sono già tentati percorsi rieducativi, che per un motivo o per l’altro non hanno sortito gli effetti sperati. Ciò significa che il cane ha già conosciuto, o è addirittura cresciuto, in un contesto familiare, dal quale si ritrova distaccato all’improvviso e senza motivo apparente. Allo stesso tempo, viene posto in un ambiente altamente conflittuale come quello del canile: un numero elevato di animali, presenti tutti i giorni e con spazi, comunque, delimitati, con elevata possibilità di “scontro” – si pensi, a mero titolo di esempio, al cane che fa pipì davanti al box di un altro. Tra i cani conferiti in canile ci sono animali che non hanno avuto il corretto imprinting da parte della madre, oppure che hanno subito maltrattamenti, anche “solo” da un’errata tipologia di detenzione. Simili problemi vanno tenuti in conto, assieme, innanzitutto, all’impossibilità di svolgere un lavoro “continuo” nel contesto del canile, come si potrebbe fare presso una famiglia.
Per quanto concerne, invece, i cani randagi, gli stessi non sono assolutamente abituati al contenimento presso un box, così come a guardare all’essere umano come punto di riferimento. Per tale motivo, risulta molto difficile riuscire a creare un legame che tranquillizzi l’animale: questo, infatti, si trova impossibilitato a fuggire o allontanarsi, risposte che, prima di arrivare in canile, utilizzava normalmente. L’impossibilità di ricorrere ai propri pattern comportamentali rischia di determinare un’importante crisi: per questo, in particolare nei primi mesi, gli stessi presentano un’elevata conflittualità, che cristallizza le difficoltà riscontrate nell’adattarsi al nuovo ambiente. Anche solo fare loro esami diagnostici costituisce fonte di grande stress. I cani randagi non presentano spesso forme aggressive, tendendo a mantenere le distanze; tuttavia, se le stesse vengono accorciate forzosamente (come in canile si è, prima o poi, forzati a fare), potrebbero reagire anche fisicamente.

 

Le modalità e gli obiettivi del recupero comportamentale

Viste le peculiarità del recupero comportamentale su cani in canile, appare chiaro che il lavoro svolto con l’animale debba puntare alla qualità più che alla quantità, visto il tempo ristretto che si trascorre assieme, rispetto a una detenzione ordinaria in famiglia. Per questo, è anche importante tenere sempre ben presente che il cane vive, comunque, la maggior parte del proprio tempo in canile da solo o con gli altri cani ospitati nel box, con limitato tempo di contatto con l’essere umano. Occorre dunque lavorare per riuscire a creare un rapporto e una dinamica di riferimento, perché, in caso contrario, a ogni nuova sessione di lavoro il cane risulterà tornato ai propri vecchi pattern comportamentali, o presenterà segnali di miglioramento veramente minimi: una simile situazione comporterebbe un percorso di recupero estremamente lungo – e insostenibile. A tal fine è essenziale comprendere non tanto quanto l’animale dimostra, principalmente con le due reazioni principali in canile (ovvero l’aggressività o il tentativo di fuga), bensì ciò che l’animale prova effettivamente. In caso contrario, si finirà per compiere un lavoro che non mira a risolvere le reali difficoltà del cane, ma a farlo adattare al contesto che li circonda. In altre parole, il cane non risulterebbe adottabile, ma solamente abituato al canile e, per questo, non presenterebbe un reale equilibrio comportamentale, ma arriverebbe solamente a permettere determinati comportamenti, ad esempio nel caso in cui li considerasse funzionali a un’uscita dal box. Allo stesso tempo, non permetterebbe altre attività, come farsi accarezzare o condurre dove non vuole. Una simile situazione, alla lunga, porterebbe a un aumento del disagio provato.

 

L’obiettivo di una simile impostazione del lavoro di recupero comportamentale è quello di fornire una stabilità emotiva, che permetta al cane di confrontarsi con altri animali e con umani in maniera sociale, seguendo i parametri specie-specifici di animali da branco. Solo una simile impostazione, infatti, permette di perseguire concretamente il rispetto del diritto all’adozione di tutti i cani ospitati presso canili.[:]

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